15 maggio 2020
Come molti di voi sapranno, quando muore una persona cara, inizia nel nostro cervello un processo importante che prende il nome di elaborazione del lutto. Seppur questo processo abbia enorme variabilità individuale, nella durata e nella modalità espressiva, mediamente si esaurisce in 18 mesi.
Comunemente si descrivono quattro fasi:
1. fase “dello stordimento e della incredulità”, è la fase di shock. Dura da alcune ore a circa una settimana, ci si sente incapaci di accettare la perdita. È caratterizzata da momenti di intenso dolore e collera;
2. fase “della ricerca” che nei lutti normali può durare mesi, in quelli complicati anni, caratterizzata da irrequietezza motoria, paura, allarme, insonnia, iperattivazione fisiologica, fenomeni dispercettivi, sentimenti di collera e colpa rivolta verso se stessi, il defunto o qualcun altro. Si ha il bisogno di recarsi nei luoghi in cui era presente la persona defunta;
3. fase della “disorganizzazione”, caratterizzata da disperazione e sintomi depressivi;
4. fase della “riorganizzazione”, dove vi è la risoluzione del processo.
L’elaborazione del lutto al tempo del covid, spesso si intrica, diventando quello che si definisce un lutto complicato. Le persone provano reazioni che non tendono a diminuire e moderarsi con il passare del tempo, interferendo significativamente con il funzionamento personale e sociale.
La ragione di questa complicanza sta in alcune caratteristiche delle morti per covid-19:
– morte improvvisa e prematura;
– morte spesso imprevedibile ed evitabile;
– idee irrazionali di essere la causa della morte, pensate alla paura dei giovani di aver contagiato un anziano, per esempio;
– morte violenta, effetti violenti e mutilanti sul corpo;
– difficoltà a raccontare con coerenza la morte. Nelle morti da covid, spesso si vede la persona essere portata via in ambulanza, non la si sente o vede per giorni, perché non si può andare in ospedale a trovarla, o perché la persona intubata non può parlare, fino all’arrivo di una telefonata che ti avvisa della morte avvenuta. Non si possono recuperare gli oggetti, o i vestiti, non si può vedere il corpo. Spesso ci si trova in due o tre al massimo, davanti ad una bara già chiusa.
Sia per i familiari che per gli operatori sanitari, abituati, lavorando per esempio in reparti di rianimazione o terapia intensiva, ad occuparsi delle persone che non ce la fanno, le caratteristiche descritte sopra complicano enormemente l’elaborazione del lutto, creando le condizioni per sviluppare importanti disturbi psicologico-psichiatrici.
In mancanza della possibilità di vivere e creare rituali curativi per chi sopravvive, c’è chi ne inventa di nuovi. Arianna, per esempio, ha piantato dei semini e nominato ogni piantina nascente ad una persona cara che ha visto morire in reparto di terapia intensiva covid.
Giorgio, Martinona, Adriano, il sign. Gatto e Luciano vivono ancora!
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6 Maggio 2020
Cari tutti,
Pubblico oggi, mercoledì 5 maggio, una testimonianza importante. Uno scritto di Arianna, cara amica e infermiera reparto terapia intensiva Covid. Un urlo che esce dal cuore. Senza mediazioni. Vero e sincero, come lei.
Per favore, NON TORNIAMO AI QUEI GIORNI.
💪🌈💪
“È ora di condividere grazie a te delle parole che avevo scritto per sfogarmi. Questa nota l’avevo scritta agli inizi di marzo, prima che scoppiasse la vera pandemia. Erano i primi turni nei covid.
Ora spero solo che non si riproponga tutto di nuovo. E spero che possa essere utile come messaggio per tutti 😘
Sono un’infermiera e lavoro in terapia intensiva.
Sono un’infermiera, e questo lavoro, a differenza di alcuni altri, non ce n’è: ti piglia cuore e anima.
È un crescendo di amore e odio: alcuni giorni va meglio e altri va peggio. La differenza è che a un’ora dalla fine del tuo solito turno dici: “meno male che manca un’ora e posso….”
Quei puntini fino a due settimane fa, erano sostituiti da un sacco di parole e frasi che ti sollevavano e ti liberavano da macigni, sensi di colpa, nervosismo e tensioni.
Adesso, oggi ci diciamo: “meno male che manca un’ora e posso respirare”.
Ho voglia di togliere quella dannata mascherina e tirare un fiato di sollievo. Perché anche se circolano meno macchine, e l’aria di Milano sicuramente sarà meno satura di smog, è comunque pesante.
Ho voglia di tornare a casa e farmi un aperitivo con gli amici.
Ho voglia di andare in giro, vedere una mostra, andare all’estero, iscrivermi a corsi di qualsiasi cosa. E come me, questa voglia, ce l’hanno tutti.
È un po’ come la dieta: serve spirito e forza d’animo quando vai in pizzeria e ordini un’insalata scondita con pollo alla piastra. Ora servono le stesse cose per stare a casa.
Il mio percorso di questi giorni è casa-lavoro lavoro-casa.
Torno a casa, mi ficco subito in doccia, si mangia qualcosa e subito desideri diventare un tutt’uno con il divano o con le lenzuola del letto: hai i muscoli che ti fanno male, i piedi gonfi perché hai trottato avanti e indietro, i pensieri a mille, la faccia segnata.
La faccia segnata.
Quel “segno” sul naso si chiama lesione da pressione. Ed è la stessa lesione da pressione tanto agognata da noi infermieri. Tanto è la gravità di come si presenta, quanto noi la curiamo e la trattiamo con creme, garze, medicazioni avanzate e chi più ne ha più ne metta.
Quella stessa crema di ossido di zinco, che spalmavo sull’arrossamento di qualche paziente in qualsiasi regione del corpo, ora è diventata parte di un rito. Un nuovo rito.
Prima del prossimo turno, io e il mio compagno ci sediamo sul divano a gambe incrociate, occhi negli occhi, spremiamo il tubetto. Naso, guance, orecchie e fronte. Tutti punti dove qualcosa preme e lascia un segno. Come quando cammini sul bagnasciuga, la tua impronta rimane e ora desidereresti solo un’onda che la cancelli. Maledetta maschera FFP3.
Peccato che i solchi vengono impressi anche sulle parti non visibili e non palpabili del nostro corpo.
Spalmo la crema con cura, e intanto lo guardo e mi si stringe lo stomaco. E cerco di non darlo a vedere troppo. Se ora si crolla, è la fine.
Questo boccone amaro più che difficile da mandare giù, è proprio gommoso da masticare.
Viene un po’ la rabbia a pensare che ormai tutti ci osannano come eroi.
Io non sono un eroe. Io sono un’infermiera ma prima di tutto sono una persona.
Una persona come tutti: ho studiato, ho fatto esperienza nel mio campo, ho raggiunto degli obiettivi. E non sono quelli di tutti? E le stesse cose per più o meno tutti i lavori?
Io non sono un eroe. Io sono un’infermiera, ma prima di tutto una persona.
Una persona come tutti: ho una mia piccola famiglia, a cui tengo molto e che voglio proteggere.
Io non sono un eroe. Io sono un’infermiera, ma prima di tutto una persona.
Una persona come tutti: mi piace staccare da lavoro e correre dal mio compagno a casa o dagli amici per ridere e scherzare e condividere momenti insieme. Amici a cui tengo molto e che voglio proteggere.
Se ci riesco io a stare a casa, con i miei gattoni, io che sono sempre fuori e che ho sempre voglia di fare cose/viaggiare/incasinarmi, il resto del mondo non ci riesce?
Figuriamoci quanta voglia possa avere di solito di bermi una bella birra a fine turno e ascoltare quelle quattro cagate che si dicono tra amici.
Figuriamoci quanto voglia possa avere ora, in questi giorni.
Smontando da turni faticosi, che ti tolgono il senso dello scorrere del tempo perché non sai nemmeno che giorno è. Dove l’organizzazione di un ospedale cambia secondo nuove direttive (tanto di cappello a tutti gli ospedali) e cambiano anche quelle poche abitudini che erano rimaste prima di questo disastro. Tutto nuovo: schede e cartelle,percorsi pulito/sporco, aree dedicate, vestizione, svestizione, reparti creati nelle sale operatorie, chi più ne ha ne metta.
E non scordiamoci quella maledetta mascherina FFP3.
E comunque nonostante tutto questo mi bevo la mia birra fredda a casa, spalmando creme sul divano e aspettando che finisca questa “nuova normalità”.
Ricorre sempre uno stesso pensiero:
State a casa, andrà tutto bene.
Dima.
(P.s. non ho voluto nominare nessun organismo dotato di RNA: almeno qui posso debellarlo, sulla carta, e provare a farlo anche fuori da questo mio scritto, in reparto tutti i giorni)”.
Grazie a Arianna Dimaria
Infermiera
Reparto terapia intensiva
Ospedale Maggiore Policlinico
Milano
A cura di:
Melissa Luna Pozzo
Psicologa psicoterapeuta
Esperta EMDR
2 Maggio 2020
Si avvicina la fatidica data del 4 maggio. Le parole di Elisabetta Pini, che ringrazio per il suo grande cuore e impegno, ci accompagnino ancora.
Non sprechiamo tutto ciò che è stato fatto fino a qui. Certo, gli ospedali ora hanno “tirato il fiato”, i reparti di terapia intensiva e rianimazione, hanno posto letto disponibili.
Ma gli operatori sanitari non si sono MAI fermati, sono sempre gli stessi, sono sempre loro.
“Tutto quello che si fa per i figli non è sacrificio, si chiama Amore.
L’ho letta oggi questa frase e subito l’ho sentita mia, ma mi è successa anche un altra cosa: l’ho collegata ad un altra frase che mi hanno detto sempre oggi…. alla Marvel sono in crisi perché tutti i supereroi stanno venendo qui per inchinarsi ai veri eroi che lavorano negli ospedali…..e, come in una concatenazione, mi è venuta in mente un altra frase che è stata ripetuta tante volte:
non siamo eroi, siamo professionisti che hanno preso sul serio il proprio lavoro e che si stanno mettendo in gioco per combattere il nemico.
Abbiamo sempre lavorato con tutta la nostra professionalità (magari in condizioni meno estreme) ma non ci siamo mai risparmiati.
Ecco perché le persone non devono dimenticarsi di noi quando tutto questo sarà finito, perché sono le condizioni lavorative che sono cambiate, non noi!!!
E tutto quello che facciamo non è sacrificio, si chiama Amore per la propria Professione!”.
Grazie Elisabetta Pini
Ostetrica
Polo ospedaliero Luigi Sacco
27 Aprile 2020
Cari tutti,
Un inno alla bellezza dell’essere umano.
Perché l’essere un bravo professionista, passa prima di tutto attraverso il RISPETTO e la FIDUCIA verso i colleghi.
Chapeau.
“Sono stati giorni tribolati, quelli appena passati.
Al lavoro intendo.
Credo perché siamo tutte un po’ cotte e qualcuna un po’ di più.
Avevo voglia di fare polemica, con questo mio scritto ma non è quello che mi è stato insegnato e ho deciso di cambiare rotta.
Voglio parlare delle ostetriche che sono state trascurate parecchio in tutta questa storia del lavoro covid, dai media( ma cosa vuoi che ne sappiano loro?) Dai primari , dai vari responsabili, dai collegi…… come se la nostra figura non avesse un ruolo importante ANCHE in questo momento.
Colleghe giovani che, vincendo le naturali paure, hanno risposto prontamente alle pesanti richieste di cambio reparto, cambio colleghe, cambio dei turni, cambio delle modalità lavorative.
Piu in particolare voglio parlare delle giovani ostetriche che lavorano da poco tempo, dove per poco intendo proprio pochi anni pochi mesi fino a pochi giorni.
Queste ultime si sono appena laureate, si sono iscritte alle agenzie in cerca di lavoro e….voilà grazie al corona virus hanno trovato posto di lavoro…….viva!!!!
Ragazze coraggiose ( che in tempi normali avrebbero aspettato tempistiche assurde prima di iniziare a lavorare) che hanno accettato un contratto pur sapendo che sarebbero venute ” nella tana del lupo” .
Ragazze che timidamente si affacciano alla porta d ingresso del reparto e che se sono fortunate trovano qualcuno che le aspettata per indicar loro le modalità di vestizione e i percorsi puliti- sporchi .
Ragazze che hanno voglia di lavorare e di imparare, che, diversamente dalla normalità, devi tenere a freno perché le attività devono essere svolte con calma, più lentamente per la sicurezza nostra e delle signore che assistiamo.
Ragazze che hanno voglia di lavorare e che non fanno polemiche sterili, che non si risparmiano, che bagnano il naso a chi potrebbe insegnare loro la passione per il lavoro.
Ragazze che se le rivedi negli spogliatoi non le riconosci…….senza i Dpi non le riconosci.
L’unico elemento che ti permette di riconoscerle sono GLI OCCHI, perché solo loro si vedono sotto la bardatura da lavoro.
Mi piacciano quegli occhi perché se li sai accogliere come si deve, da spaesati subito diventano vispi e svegli dimostrando l’intelligenza e la voglia di imparare che ci sta dietro.
Mi sento di elogiare questi giovani occhi che in un momento così difficile come questo, sanno portare freschezza e ti stimolano a rinfrescare la tua professionalità e a lasciar perdere le sterili polemiche che volevi fare!
W LE GIOVANI OSTETRICHE!!!!”
Grazie Elisabetta Pini
ostetrica
Polo Ospedaliero Luigi Sacco.
22 Aprile 2020
Cari tutti,
e’ quasi arrivato il momento. Il momento che tutti aspettavamo. Il momento in cui la vita, anche se lentamente, può tornare a riprendere. Il momento di uscire di casa. Di riprendere le attività. Di guardare le persone con un altro sguardo. Perché negli ultimi mesi spesso le abbiamo guardate con paura, con odio e con diffidenza. A volte abbiamo dato la caccia all’untore, si sa, la ricerca di un colpevole e’ spesso utile per incanalare la rabbia e sentirci meno impotenti.
Ma l’uomo è un essere relazionale. Come disse Aristotele: l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. L’uomo ha BISOGNO DELL’ALTRO. Ha bisogno di attenzione, stima, affetto e amore. Ha bisogno anche praticamente dell’altro. Ogni persona ha sviluppato delle competenze: io ho necessità delle tue e tu delle mie (…Pensate alla saggezza del BARATTO…). Ogni uomo è INTERCONNESSO, il covid-19 lo ha insegnato bene… stai male tu, sto male io.
Ho parlato con tante persone nell’ultimo periodo. C’è chi ha paura ad uscire. Perché fino ad ora ci hanno “costretti” ad affrontare e convivere con il virus stando in casa. Nel posto al sicuro. Che ora ci sta stretto, ma per due mesi e più ha funzionato da posto al sicuro. E allora si ha paura, perché la fuori “non sono protetto”, “sono a rischio”.
Poi, c’è chi non vede l’ora di uscire, chi si vuole catapultare fuori e fare tutto come prima. Chi si è sentito obbligato, incarcerato, che non ha mai capito perché ci sia stato imposto il lock-down.
Altri paesi, hanno INSEGNATO alle persone a convivere con il virus, stando anche la’ fuori. Certo, in casa per quanto possibile, ma uscire all’occorrenza con grande attenzione, cura e rispetto. Per se stessi e per gli altri. Altri paesi hanno fornito conoscenza e dispositivi per stare la’ fuori, protetti insieme al virus.
Fra poco toccherà a noi. Aprire le porte di casa e uscire. Uscire in un mondo che ci aspetta. Aprire le porte alla vita che è stata per tanti in sospeso. Non saremo quelli di prima, auspicabilmente. Auspicabilmente per allora avremo capito che l’altro non è un nemico che ci ruba il parcheggio. O le mascherine. Che devo prevaricare prima che lo faccia lui.
L’altro è una persona di cui abbiamo bisogno E CON CUI SIAMO PROFONDAMENTE E INESORABILMENTE INTERCONNESSI.
La necessità e’ la madre di tutte le possibilità, così dicono. E allora apriamo la porta e rispettiamoci. Torniamo ad amarci, ad esserci utili, a scambiarci sorrisi, con le protezioni necessarie. E a condividere ciò che abbiamo. Perché in fondo la verità è che SE STA BENE LUI, STARÒ MEGLIO ANCHE IO.
Abbraccio tutti voi. Vi aspetto, la’ fuori.
La’ fuori è primavera 🌼🌸
Melissa Pozzo
21 Aprile 2020
Un momento di riposo dopo il turno in ospedale Sacco.
Grazie Iris, nome di fantasia.
“In questi giorni di riposo è bello star fuori sul balcone e godere del tepore del sole. Ci si accorge che, grazie alla chiusura alla quale siamo obbligati, regna il silenzio.
Solo il canto degli uccellini, il volo di una coppia di pappagallini verdi che lanciano il loro richiamo e il passaggio di un airone cinerino…queste meraviglie da tempo non si vedevano qui in periferia!!!
L’altro giorno, hanno pubblicato anche un evento rarissimo: il volo di un aquila! Possibile?
Quest’anno, come non mai, ci siamo accorti del risveglio della natura: di solito le piante del mio giardino buttano le foglie in men che non si dica e neanche ce se ne rendeva conto, invece abbiamo assistito, giorno per giorno, al loro sbocciare e crescere; abbiamo visto fiorire le piante, spuntare le margherite nel prato!
E, ancor più sorprendente, ce lo siamo raccontato! Non solo in casa con mio marito, ma con i vicini!!!!!
La potenza dell’ effetto corona virus! Non tutto vien per nuocere”.
18 Aprile 2020
Cari tutti,
oggi voglio ringraziare Renata Apolloni per le riflessioni che mi ha mandato questa mattina direttamente dal suo cuore. Lavorando in terapia intensiva presso il Polo ospedaliero Luigi Sacco, ha il suo punto osservazione del mondo.
❤️ 🌍
”Ho indugiato a scriverti, perché ogni pensiero esternato mi pareva, una volta scritto, anche patetico. Stamattina invece ho fatto una riflessione che merita il tuo commento. Mi sono accorta che (parlo al plurale ma parlo per me) abbiamo cambiato la visione gli uni dagli altri. Portiamo la mascherina, quindi vediamo solo gli occhi. Beh, ieri, ordinatamente in fila fuori dalla farmacia ho lanciato una occhiata, senza premeditazione ad una signora dietro di me che era spazientita per la fila, e continuava ad avvicinarsi: … beh ha fatto due salti indietro!!!
Allora, ho considerato la potenza dello sguardo: in questa situazione, siamo costretti a guardarci negli occhi. Poi ho pure pensato che ci hanno portato (per mascherare le loro mancanze) a dare la caccia all’untore. Io vedo la gente in giro, non so dove vanno, magari in farmacia, dal vecchietto o a fare la spesa e subito penso (e lancio occhiate cattive) all’untore. La gente furba, poco rispettosa delle regole, la gente che butta i rifiuti per strada, che lascia i sacchetti in giro, c’è sempre stata e non smetterà certo di esistere adesso. Ma io vedo anche un popolo rispettoso, che fa tanti sacrifici e che cerca di sforzarsi per riprendersi la vita di sempre. Io l’ho visto: ho visto gente in fila ordinata, ho visto bambini a casa fare dipinti, torte, biscotti e disegni che hanno mandato in ospedale… e allora … penso che io voglio riappropriarmi della vita di prima, e che continuerò come ho sempre fatto ad indignarmi per i comportamenti scorretti ..pre e post lockdown”.
Si ringrazia Lauren Caldwell per il disegno tratto da una foto di Renata.
Rappresenta un momento di terapia intensiva.
13 Aprile 2020
Un inno al potere del pianto 💦.
Siamo vivi!!!!!
-Grazie a E., ostetrica, Milano-
“Hai mai pianto?
Certo che l’ho fatto e non me ne vergogno.
Qui la lotta è dura e quando vedi gli occhi di chi ti sta di fronte prendere la piega della tristezza e della depressione, si che ti viene il magone. Poi magari ci aggiungi una situazione che si aggrava sempre di più laddove sarebbe la vita a dover fiorire…..e allora si che ti viene proprio da piangere.
Piangi perché ti senti impotente davanti a una tale catastrofe, perché non puoi stare con le persone come vorresti né nei tempi e nemmeno nei modi.
Non hai avuto il tempo di abituarti al cambiamento ne di adeguarti, hai dovuto stravolgere il tuo modo di applicare il sapere, il saper fare ma soprattutto il saper essere, il fondamento della nostra professione, quello che ti hanno insegnato fin dal primo giorno degli studi sanitari e che nel tempo hai fatto tuo e a tuo modo.
Non c’è niente di male a piangere anzi, forse è terapeutico, forse ti aiuta a dar voce ai tuoi sentimenti e sicuramente a farti sentir viva, dopo tanti anni di lavoro sei ancora capace di emozionarti!
Sei viva!”
9 Aprile 2020
Cari tutti,
Lei è B., ostetrica di un importante punto nascite milanese. Cara amica e collega che ringrazio di cuore.
Ieri sera mi ha scritto questo, chiedendo, per pudore, di rimanere anonima.
Condivido la sua esperienza, perché tutti possano comprendere e partecipare.
E ricordate, la vita vince sempre.
Diamole una mano!
Testimonianza di B., Ostetrica
“Il mio lavoro è il più bello del mondo!!!!
Faccio l’ostetrica da tanti anni e ho avuto diverse esperienze, ma come questa mai! Lavorare in” formazione covid” è terribile: la vestizione, tenere la mascherina per tante ore che appena l’appoggi sul naso te lo stritola e ti sembra di soffocare; il camice idrorepellente che ti simula la SPA, talmente ti fa fare la sauna; i doppi guanti che ti tolgono la sensibilità, bisogna imparare da capo a fare prelievi, posizionare venflon, visitare le donne. Ma ti vesti, ti guardi allo specchio se hai messo tutto e per bene, tiri un lungo respiro per farti coraggio e partire….. non prima di aver indossato un bel sorriso….
Ma chi lo vedrà sotto la maschera? Gli occhi parlano e sanno sorridere e questo da sollievo alle neo mamme o alle future mamme che stanno vivendo uno dei momenti più belli della loro vita in un modo così strano e” lontano”. Il nostro sforzo è quello di far sembrare tutto anormalmente normale!
Facciamo molta fatica a lavorare anche perché, non lo nego, abbiamo paura del contagio, per noi e per i nostri cari che da casa ci pensano e a casa ci aspettano…. Che aspettano il wa:” sto uscendo, è andato tuto bene, torno a casa”.
Torni a casa e sei sfinito, ti spogli sul balcone e ti butti sotto una lunga e bollente doccia per calmare il cervello che elabora mille infezioni, mille sintomi e non ti lascia in pace neanche di notte. Spegni la tv e la radio, ti obblighi a leggere per concentrarti su qualcosa che non ti faccia pensare a quello che hai vissuto durante il giorno. Sei stanca sfinita ma devi preparare la cena…..e in tutto questo ti senti fortunata perché lo puoi fare e il pensiero torna, prepotentemente, alle donne che hai lasciato in reparto. A quelle che stanno male e non ti chiamano perché non vogliono disturbare (ma tu lo sai e le controlli lo stesso) a quelle che ti trattano male perché……. mi verrebbe da dire perché sono maleducate e ignorano cosa sta succedendo, ma non perdono tempo a fare scenate isteriche e a minacciare di farti denuncia o, meglio ancora, chiamano i carabinieri!!! Si anche questo succede. Ma cerchi di giustificarle perché sono in una condizione molto delicata in una situazione molto delicata in un ambiente non molto delicato anzi, dal loro punto di vista, ostile: da sole, porte sempre chiuse, obbligo di mascherina, chi entra è troppo bardato…. un ambiente apparentemente ostile che ti fa andare fuori di testa. E noi dobbiamo aiutarle a mantenere in bolla un delicato equilibrio…. quando anche il nostro equilibrio è molto precario.
Ogni tanto mi soffermo a pensare: in fondo io lavoro in un reparto dove, nonostante il coronavirus, si vive la vita! E mi sento in difetto nei confronti dei miei colleghi che lavorano in rianimazione e vedono ogni giorni la morte! Loro si che hanno tutti i diritti di lamentarsi, invece tengono duro e combattono per la vita dei loro pazienti, delle nostre pazienti, perché succede anche che una giovane ragazza diventata mamma da pochi minuti, venga addormentata, intubata e pronata perché sta troppo male e non riesce a respirare e, soprattutto, non ha mai visto la sua bambina!!!! Questo mi stranzia ogni parte del corpo e mi dilania il cuore.
Cosa mi aiuta a tornare al lavoro tutti i giorni? Me lo chiedo sempre.
E lo so.
La passione per il mio lavoro che è il più bello del mondo!!!!”.
4 Aprile 2020
Cari tutti,
Oggi voglio condividere con voi la testimonianza di Marco, caro amico.
Perché ognuno di voi faccia SCELTE consapevoli. Ritengo che essere obbligati e costretti leda i diritti umani. Continuiamo ad essere chiamati ad una grande RESPONSABILITÀ individuale. Resistete!
Testimonianza di Marco, Fisoterapista
“Lettere dal fronte.
Nell’esercito dell’antica Roma subito dietro ai Legionari hastati e ai principes c’era una terza linea di uomini esperti che a differenza dei due principali schieramenti non erano votati all’attacco ma più alla difesa.
Mi chiamo Marco, ho 27 anni, presto servizio come fisioterapista presso un noto ospedale milanese.
Avete tutti letto in questi giorni testimonianze di infermieri e medici che lavorano nei reparti di medicina e di rianimazione che vi raccontano l’esperienza della lotta in prima linea al Covid-19. Ma credo che nessuno di voi sappia o si ricordi che in ospedale non c’è solo chi lotta contro il Covid.
C’è una moltitudine di altri operatori sanitari che sono quotidianamente a rischio e non ugualmente attrezzati.
Nella mia attività clinica mi sono sempre occupato della riabilitazione in ambito muscoloscheletrico di pazienti giovani, infortunati e sottoposti ad interventi chirurgici ortopedici. Una goduria insomma.
Da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus tuttavia, la mia attività clinica è stata completamente stravolta. Tutti gli interventi chirurgici annullati così come le attività ambulatoriali ed io sono stato catapultato in un’altra realtà.
La regione Lombardia ha deciso di rendere il mio ospedale, oltre ad ospedale in prima linea contro il Covid, anche HUB per il trattamento degli Stroke (eventi ischemici del cervello, icuts ndr). Di conseguenza la maggior parte dei pazienti colpiti da ictus in regione Lombardia viene ricoverata nel nostro nosocomio.
Noi come fisioterapisti ci adoperiamo affinchè le funzioni motorie perse da questi pazienti siano recuperate nel minor tempo possibile in maniera che siano dimessi il prima possibile, perché l’esposizione ospedaliera li mette inevitabilmente a rischio contagio.
Noi non indossiamo caschi o maschere filtranti, tute termosaldate e calzari. Indossiamo mascherina chirurgica, cuffia e, al di più, una visiera. Siamo ogni giorno a rischio contagio e così come noi anche le nostre famiglie.
I dispositivi più performanti sono lasciati a chi opera al fronte primario perché scarseggiano.
A casa ci isoliamo. Dormiamo in stanze separate, mangiamo da soli, disinfettiamo tutto ciò che possiamo disinfettare per evitare di esporre i nostri cari al rischio. Qualcuno, che ne ha avuto la possibilità ha cambiato casa.
Io non vedo la mia ragazza da un mese ormai, lei non vive con me e mi manca immensamente. Posso solo sentirla per telefono.
Dopo ogni giornata di lavoro torno a casa, tolgo i vestiti usati fuori, mi faccio la doccia e indosso dei vestiti da casa. Parlo con i miei familiari attraverso un muro o per telefono. Attendo che tutti abbiano finito di mangiare per recarmi in cucina e mangiare a mia volta. Dopo ogni permanenza in una stanza comune apro la finestra e lascio che l’aria al suo interno ricambi.
La vita così è un inferno. Il rischio di contagio diventa quasi un’ossessione e con tutte le precauzioni possibili il rischio non è mai dello 0%. La paura ti distrugge psicologicamente e fisicamente. Dopo la giornata di lavoro, dormi (male) ed è subito ora di ricominciare.
Vorrei poter stare a casa come tutti voi, che vi lamentate di essere segretati. Credetemi è una fortuna.
Abbiamo paura di infettarci, perché il nostro reparto benché sia sotto stretto controllo e non presenti in degenza casi confermati di Covid, non è immune e spesso i positivi si nascondono e si scoprono più tardi.
Le notizie di questi giorni dalla prima linea sono confortanti ma affinché anche noi rimaniamo al sicuro dobbiamo fare in modo che questo trend continui a virare verso il miglioramento.
Molti psicologi mettono in guardia che la percezione del rischio nel nostro cervello funziona un po’ male: non segue le logiche della razionalità e dei calcoli probabilistici dopo una fase di tensione alta e di attenzione massima, si tende ad allentare la presa ad abituarsi e abbassare le difese. I facili ottimismi ci coinvolgono e perdiamo la visione della realtà.
Facciamo che questo non accada. Aiutateci! Non abbiamo bisogno di niente ma solo che continuiate a fare quello che state facendo. Non abbassate la guardia, non cominciate ad uscire di casa solo perché un barlume di facile ottimismo vi ha coinvolto. Rimanete al sicuro voi che potete. Permetteteci di vincere. Fatelo per noi”.
Marco
fisioterapista
– Milano
3 Aprile 2020
Intervista al Dr. Mauro Viganò
1) Qual’è lo stato attuale degli ospedali Lombardi?
Covid-19 ha trovato impreparato il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), anche quello Lombardo, da tutti ritenuto un’eccellenza. Tuttavia anche gli ospedali delle province più colpite: Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi, hanno retto l’onda d’urto e lo tsunami sembra stia passando. Ad oggi posso affermare di cominciare ad intravedere una piccola luce in fondo al tunnel…anche se la strada è ancora lunga, tortuosa e poco illuminata.
Tutti gli operatori sanitari: medici, infermieri e ausiliari hanno fatto il possibile ed anche l’impossibile cercando di offrire un posto letto e delle cure a tutti, fornendo loro una chance di sopravvivenza, anche se purtroppo l’elevato numero delle vittime rimarrà nella memoria di tutti coloro i quali hanno perso un familiare, un amico o un conoscente.
2) Qual’è secondo te il giusto comportamento da tenere nelle prossime settimane?
Prevedo che la fase dell’emergenza sanitaria – dettata dal timore di non riuscire a garantire le cure necessarie a tutti i pazienti che si ammalano contemporaneamente – possa ridursi progressivamente nei prossimi giorni e calare drasticamente da metà aprile. Solo allora potremmo dire di aver terminato la fase più importante – la cosedetta fase 1. Ma la fine di questa fase non equivale alla scomparsa del virus, che continuerà a circolare seppure in maniera meno imponente. E’ pertanto fondamentale quindi che si “tenga duro” per altri 15 giorni, per poi entrare in quella che viene definita la fase 2, in cui dovremo ancora limitare i nostri scambi sociali, mantenendo l’uso delle mascherine, l’isolamento dei soggetti sintomatici o con tampone positivo e tutte le attenzioni circa le norme igieniche che abbiamo intrapreso in queste settimane. Questa fase ci serve per impedire che il virus possa continuare a circolare dai soggetti infetti (magari asintomatici) agli individui sani.
3) Cosa si sa oggi rispetto alla possibilità di immunizzarsi al Covid-19?
Sappiamo ancora troppo poco di questo virus, ma è verosimile che i pazienti che ne sono venuti in contatto e che sono guariti hanno un’immunità che li preserva da una reinfezione.
Questo perché è improbabile che il virus riesca a mutare nel breve/medio periodo, tanto da poter eludere l’immunità acquisita. Tuttavia, in mancanza di un vaccino – che non sarà sicuramente disponibile se non tra 6/12 mesi – il numero dei guariti è ancora troppo basso rispetto al totale della popolazione ancora suscettibile.
Questa è la ragione per la quale se non vogliamo vedere ripartire l’epidemia, anche solo in ristretti focolai, è fondamentale continuare a seguire le regole sanitarie e le buone abitudini di igiene. Solo facendo tutto questo ridurremo l’impatto del virus e non renderemo vano tutto quello che è stato fatto sia a livello sociale, economico, ma soprattutto a livello sanitario.
Vinceremo la battaglia contro COVID-19, ma per ora serve ancora l’impegno di tutti. Ma per ottenere questo serve che la gente capisca le ragioni di quanto viene loro imposto.
Grazie a:
Dr. Mauro Viganò
Medico chirurgo
Specialista in Gastroenterologia ed endoscopia digestiva
– Ospedale S. Giuseppe (Milano)
Gruppo multimedica
A cura di:
Melissa Pozzo Psicoterapeuta
Psicologa psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale
Esperta EMDR
17 Marzo 2020
Sempre più donne in gravidanza sono preoccupate per la situazione coronavirus:
– si sentono più sole
– Si sentono più isolate
– Si sentono in pericolo
– Hanno paura per il loro bambino
– Hanno paura di partorire in ospedale per paura di una possibile infezione
– I parenti sono lontani, e quindi non hanno nessun aiuto
– Non possono frequentare amici
– In ospedale, sopratutto se la gravidanza è fisiologica, non c’è tanto tempo per loro
– …
E allora ecco cosa può fare l’ostetrica in questo difficile periodo.
Intervista alla Dr.ssa Mariagrazia Miscioscia
1. come si può aiutare una donna ai tempi del coronavirus?
Rendersi disponibili sui vari canali di comunicazione: messaggi, video chiamate e sostegno telefonico. Io oggi ad esempio ho organizzato un gruppo, e domani facciamo training su Skype.
2. Come posso ottenere un consulto sull’allattamento anche a distanza?
E’ utile contattare le strutture del territorio di riferimento. Alcuni consultori hanno adottato il sistema di comunicazione attraverso piattaforme come Skype o WhatsApp, strutturando e adattando percorsi di accompagnamento alla nascita a distanza.
3. Quale ruolo può giocare l’ostetrica oggi?
Il ruolo dell’ostetrica oggi più che mai, in questo difficile periodo, è soprattutto quello di supportare le donne con tutti i mezzi a distanza che abbiamo a disposizione. È importante che arrivi il messaggio di non sentirsi sole, isolate e abbandonate.
4. Come mi preparo al parto?
È importante far riferimento alle strutture territoriali: Consultori ATS, privati accreditati e privati, per non sovraccaricare gli ospedali che in questo momento sono oberati di lavoro. Sicuramente tali strutture avranno messo in atto una rete di sostegno e aiuto telefonico, e in casi necessari, con visite domiciliari adottando tutte le misure di contenimento atte a ridurre il contagio.
5. Cosa faccio se sospetto di essere malata?
Se hai un sospetto di contagio, con febbre superiore ai 37,5 e sintomi influenzali, sappi che l’ordine delle ostetriche collabora con AREU per triage telefonico al numero 800894545. Per supportare tutte quelle situazioni di contagio, o sospetto contagio.
Grazie a:
Mariagrazia Miscioscia
Ostetrica
Consultorio Cemp (Via E. Chiesa, 1 Milano)
Consultorio Villaggio della Madre e del Fanciullo (Via Goya 60, Milano)
A cura di :
Melissa Luna Pozzo
Psicologa psicoterapeuta
Esperta EMDR
14 Marzo 2020
Intervista al Dr. Luca Mandia
1) Un portatore sano del virus, perché è portatore sano? Naturalmente può attaccare il virus a qualcuno che poi finisce in rianimazione, giusto?
“Non esiste portatore sano, esiste chi fa la malattia in forma lieve: sono gli asintomatici. Il perché la maggior parte lo faccia in forma lieve e altri no, non si sa con certezza. Ma probabilmente avrà causa genetica.
Ogni persona, Finché malata (sintomatica o asintomatica) può infettare”.
2) quanti sono i gg di incubazione? alcuni dicono 14, altri 7-10 giorni.
“In Media 5/6 giorni, massimo 14”.
3) una volta preso il virus, ci si reinfetta o no?
“Non ci sono ancora dati certi. Probabilmente no”.
4) in Cina non ci sono praticamente più malati. Quindi nn ci sono più contagi. Il virus magicamente dov’è finito?
“I virus sono microrganismi non capaci di vita propria ed il loro ciclo vitale implica l’infezione intracellulare di organismi evoluti e che garantiscano loro energia e capacità replicativa. Se un virus elimina un’intera popolazione con l’ultimo soggetto scompare anche il virus. Se tutta la popolazione viene isolata in condizioni di totale protezione antivirale anche in questo caso il virus scomparirà. Se soggetti negativi per l’infezione vengono anch’essi esclusi e non hanno contatti con l’esterno anche in questo caso il virus non ha possibilità di diffusione e sopravvivenza. Infine se tutte le persone infette vengono isolate da chi non è ancora stato esposto, il virus non potrà più raggiungere la popolazione sana”.
Grazie al dottor Luca MANDIA
medico chirurgo
Specialista in ginecologia e ostetricia
A cura di :
Melissa Luna Pozzo
Psicologa
Psicoterapeuta
Esperta EMDR
11 Marzo 2020
Cari tutti,
in tempi di Covid-19, mi voglio impegnare a raccogliere e pubblicare per voi alcuni spunti, piccole interviste e riflessioni di cari amici e colleghi, medici, infermieri, ostetriche e operatori sanitari in genere. E’ un piccolo contributo che voglio regalarvi per accompagnarvi in questo difficile e doloroso periodo. Sperando si possa trasformare presto, portando anche il bello. Un caro saluto Melissa Pozzo
9 Marzo 2020
Cari tutti,
è necessario che ognuno di noi agisca in modo responsabile e consapevole. Tutto ciò che può essere fatto da casa, DEVE essere fatto da casa. Dobbiamo necessariamente proteggere il nostro personale sanitario, e rallentare la diffusione del virus.
Gli ospedali della Lombardia sono allo stremo. Se non ci dovessero essere abbastanza posti letto, gli operatori sanitari saranno tenuti a fare una scelta. Una scelta tra chi curare e chi no.
Non bisogna avere paura, bisogna solo stare in casa.
Io personalmente sono davanti a un bivio: devo decidere se isolarmi della mia famiglia e prestare il mio contributo sul campo, anche perché il rischio del panico in questo momento è alto, oppure lavorare da casa.
Per mia scelta, per mia attitudine, e per mia decisione, se dovesse esserci la necessità di lavorare in ospedale, e dare la mia presenza, quella sarà la mia scelta.
Per adesso posso continuare il mio lavoro di studio, da casa.
È mio dovere chiedere a tutti voi di non cancellare le sedute e di riorganizzarle via FaceTime, WhatsApp video o per telefono.
Ho pensato molto bene, e non esiste un motivo clinico perché le sedute Non abbiano un effetto terapeutico, anche se non avvengono Vis-à-vis.
Nella necessità, ho attuato alcune sedute di EMDR attraverso video, applicando i movimenti oculari. Sono state estremamente efficaci.
Quindi sono molto fiduciosa.
Non posso chiedere alle persone, peraltro alcune in una situazione di sistema immunitario non ottimale, di uscire di casa.
Prego tutti voi di riflettere su quanto vi ho scritto. Tutte le sedute, sono confermate e avverranno tramite video.
Scrivetemi per qualsiasi commento, riflessione o perplessità.
Un caro saluto Melissa Pozzo